I CPG partono da una netta posizione di svantaggio quando parliamo di dati di marketing: la relazione con i loro consumatori è infatti interamente mediata dai rivenditori, sia online che sul punto vendita fisico. Non potendo creare set di dati raccolti direttamente, i Brand si sono affidati sempre più ai dati di terze parti per monitorare e analizzare i comportamenti di acquisto e per stimolare l’engagement dei consumatori. Alcuni inserzionisti stanno testando soluzioni tecnologiche avanzate (impronta digitale, delega di sottodomini, archiviazione locale) per aggirare i vincoli e continuare a raccogliere dati di terze parti. Tuttavia sfugge loro il punto fondamentale: da un lato i consumatori sono sempre più sensibili alle tematiche di protezione dati personali, dall’altro le autorità di regolamentazione obbligano sempre più ad adottare misure adeguate per garantire questi aspetti. In un modo o nell’altro, è in atto una partita per il commercio di dati di terze parti.
Che fare?
I Brand devono compensare la perdita di dati di terze parti acquisendo più “first-party” (dati diretti) o, meglio ancora, “zero-party”. Ma questa non è una novità. Nel rapporto 2021 sul coinvolgimento dei consumatori, Merkle ha rilevato che in un campione costituito da oltre 800 executive in ambito marketing, analytics e tech presso le principali aziende statunitensi e britanniche, l’88% ha indicato la raccolta e l’archiviazione di dati diretti come una priorità assoluta per il prossimo anno. I dati diretti, o “first-party data”, vengono generati osservando il comportamento dei consumatori all’interno del mondo digitale di un brand: visite al sito web, interazioni sociali, dati CRM e così via. Questi comportamenti rivelano preferenze implicite che possono, in aggregato, influire sulle future strategie di marketing. I “zero-party data” sono ancora migliori. Si tratta di dati che un consumatore condivide in modo proattivo e deliberato con il brand sulle caratteristiche del proprio profilo, preferenze e intenzioni di acquisto. Questi dati rivelano preferenze esplicite dei consumatori, consentendo alti livelli di personalizzazione e coinvolgimento.
Do ut des
A differenza dei dati di terze parti, che possono essere acquistati senza che i consumatori ne sappiano nemmeno l’esistenza, i first e zero-party data devono essere acquisiti attraverso la partecipazione attiva e il consenso esplicito del consumatore per la loro elaborazione. Nella sua indagine di marketing annuale, Nielsen ha rilevato che “i marchi di tutte le dimensioni si concentrano principalmente su fonti di dati che evidenziano un’azione alla fine di un customer journey, come può essere un acquisto effettivo”. Pertanto, mentre i dati diretti possono essere acquisiti creando esperienze digitali coinvolgenti per incoraggiare l’interazione con il consumatore, gli “zero-party data” richiedono uno scambio di valore tangibile che riconosca la proprietà dei dati da parte del consumatore e lo ricompensi per la condivisione. Ci sono molti modi per farlo, ma pochi sono efficaci quanto un incentivo economico vecchio stile. La promozione delle vendite si sta evolvendo, passando da uno strumento puramente tattico a una soluzione strategica integrata, facilitata in gran parte dalla nostra piattaforma promozionale. I dati diretti possono essere acquisiti tramite un semplice scambio una tantum di un indirizzo e-mail per la ricezione un buono sconto scaricabile. Oppure un brand può integrare un modulo di cashback all’interno del proprio sito web, creando così uno strumento di acquisizione dati più sofisticato nel processo di coinvolgimento per ottenere dati zero party più preziosi. Uno dei nostri programmi di maggior successo è stata l’integrazione di una galleria di coupon digitali dinamica nel sito web di un brand con ganci all’interno dei suoi sistemi di CRM, fedeltà e automazione marketing, utilizzando incentivi di prezzo per promuovere uno scambio continuo di informazioni e valore con i consumatori. La fine del cookie di terze parti potrebbe essere la risposta di Google alle “crescenti aspettative dei consumatori per la privacy e alle restrizioni normative in rapida evoluzione”. Oppure potrebbe essere un tentativo di cogliere una quota ancora maggiore della spesa pubblicitaria online globale. In ogni caso, i brand dovranno trovare nuovi modi per comprendere i consumatori e interagire con loro, portando così risultati migliori per tutti.